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LA BATTAGLIA DEI GHIACCIAI, la Grande Guerra tra le nevi perenni.            Marco Cimmino

27/4/2018

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“La battaglia dei ghiacciai. La Grande Guerra tra le nevi perenni”
Marco Cimmino
Mattioli 1885, Archivio Storia.
126 pg, 14,50 Euro


Cento anni fa, la Grande Guerra infuriava nel nordest d’Italia. Orrore, devastazioni, carnai sul Carso e sull’Isonzo. Contemporaneamente, nell’arco alpino dallo Stelvio alla Carnia si consumava la Guerra Bianca, un conflitto d’alta montagna, verticale, rarefatto e non solo per l’aria poco ossigenata alle quote elevate dove si svolgeva. Caratteristiche e situazioni di questa zona particolare del fronte austro-italiano sono del tutto originali e diverse. Lo fa notare Marco Cimmino, che ha sviluppato questi temi con grande ampiezza di vedute e facilità di linguaggio in questo libro.
Marco Cimmino è uno storico militare, specializzato nella prima guerra mondiale. Fa parte del comitato storico scientifico della Regione Lombardia per la conservazione del patrimonio della Grande Guerra, della Società Italiana di Storia Militare e del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna. 
Un conflitto rarefatto, si è detto. Lo è stato anche perché i numeri dei combattenti erano necessariamente ridotti, quando non ci si limitava all’azione di manipoli, se non di coppie o di singoli assalitori.
I requisiti degli uomini impegnati? Avere tempra e coraggio, disporre di una valida preparazione alpinistica, mostrare all’occorrenza capacità d’improvvisazione e comunque disporre di attrezzature tecniche efficienti e il più possibile moderne.
Pur dove non potevano agire reparti numerosi, veniva invece esercitato un sforzo logistico importante, per creare le condizioni che potevano consentire a sia pure pochi di restare in quota e combattere. Si trattò di allestire reti imponenti di teleferiche, di assicurare un flusso continuo di rifornimenti, di portare in alto cannoni di medio calibro e alimentarli del necessario munizionamento.
Tutto questo valeva per entrambi gli eserciti. Operarono soprattutto truppe specializzate: alpini e non solo dalla parte italiana, kaiserjàger tirolesi in quella avversa, oltre a landeschutzen e standschutzen, montanari delle zone alpine locali. 
È stata una guerra in altezza, al confronto delle azioni sul fronte carsico-isontino, che si sviluppavano in orizzontale o assaltando medi rilievi, ma quanti sacrifici per strapparli al nemico, da parte dei nostri, sempre all’attacco. E i successi si contavano in chilometri di penetrazione nelle linee, spesso solo qualche centinaio di metri. In montagna, invece, non si misuravano in distanze ma in dislivelli, in metri di quota conquistati. Non c’erano lunghe trincee o sistemi di linee, solo cengie, speroni, piccoli spazi piani su cui stabilizzarsi, in una lenta erosione del dispositivo difensivo avversario. E si parla di postazioni tenute e munite a non meno di 2500 metri di quota, che diventavano 3500 nella zona dell’Adamello fino a sfiorare i 4000 dell’Ortles-Cevedale. 
Si possono immaginare le difficoltà di permanenza, di sopravvivenza (nemico fu soprattutto il gelo, causa di morte principale le valanghe), di condotta bellica in un paesaggio maestoso, caratterizzato da una bellezza della natura che toglieva il fiato ai combattenti, quanto l’altitudine e il freddo, in quelle lande subartiche.
Che

“contrasto tra la solennità e il senso di pace e di purezza originato dal paesaggio e il sentimento della guerra, della morte e della distruzione”

osserva Marco Cimmino.
Sovrastato sotto ogni aspetto (risorse, attenzione, impianti, personale) da quello isontino, che andava dalla Carnia a Monfalcone, il resto del fronte, montano, era considerato secondario. Al saliente trentino, in particolare, si attribuiva un ruolo di contenimento, vi si svolsero offensive limitate, se si eccettuano la spallata tentata dagli austriaci con la Strafexpedition nel 1916 e la folle risposta italiana sull’Ortigara, nel 1917. 
Sicché, finanche secondari di un fronte secondario erano considerati dal comando della I Armata i sottosettori Valtellina e Valcamonica, oggetto di questo lavoro. Inadatti ad azioni che potessero condurre ad un risultato considerevole. Zone di pura frizione. La maggior parte del fronte valtellinese e camuno si sviluppava infatti in un territorio elevatissimo, glaciale, in molte parti abitato da nevi perenni e ovunque caratterizzato da condizioni atmosferiche estreme. 
Fu guerra tra belligeranti che non si odiavano. L’affinità di sentimenti, per origini, carattere, cultura e tradizioni, rendeva naturale il rispetto tra soldati che riconoscevano negli avversari una natura simile alla propria.
Marco Cimmino riesce a rendere con efficacia i temi unici e originali posti dalla guerra sui ghiacciai. La lettura è tutt’altro che ardua, grazie a una prosa che si sforza di restare più umana che tecnica, per rendere al meglio le condizioni in cui tanti uomini si trovarono ad operare, in quegli scenari da documentario artico.
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